Noi lo spreco ce lo beviamo

NOI LO SPRECO CE LO BEVIAMO

Questa volta Mr. Dee Still si trova a fare due chiacchiere con Franco Di Pietro, l’uomo che sta dietro uno dei progetti più interessanti legati al mondo della birra, Biova, un eccezionale trittico di etichette ricavate dalla fermentazione del pane. Franco, un vero uomo del suo tempo che ha colto perfettamente lo zeitgeist, si siede con noi in una uggiosa serata di dicembre per raccontarci come si possa fare la propria parte gustandoci un’ottima birra.

Ciao Franco, cosa bevi?

Una birra ovviamente.

Una Biova oppure…

Berrei sicuramente una Biova, però a quest’ora mi piace partire con Porter bella corposa, un bell’inizio di serata. Ultimamente ho assaggiato un’Imperial Porter di Canediguerra. Molto buona, un po’ liquirizia e caffè, davvero buona.

Cosa ne pensi dei prezzi delle Imperial Porter? Non sono un tantino alti?

Sì, spesso sono molto costose, ma quella di cui parlo ha un prezzo allineato ad altre. Alla spina riesci a fare paragoni credibili.

Come nasce Biova?

Ho un background in ingegneria logistica che spiega la mia passione per il recupero, ma ho lavorato molto come strategic copywriter in un’agenzia di comunicazione dove ho iniziato ad interessarmi di temi legati alla responsabilità sociale nell’impresa. Dopo anni di volontariato in varie ONLUS che si occupavano proprio di lotta allo spreco alimentare ho imparato a gestire lo spreco e nel 2019, fondando Biova qui a Torino, abbiamo creato un modello di business profittevole. Questi due anni solo letteralmente volati via. Non siamo una ONLUS, anzi, siamo stati in grado di attirare capitali e di creare profitti, ma nel nostro bilancio l’impatto sociale ha una voce tutta sua. I numeri più importanti per noi sono le tonnellate di pane invenduto/recuperato, i progetti contro lo spreco alimentare finanziati da noi e il miglioramento della filiera produttiva del cibo: riduzione di utilizzo delle materie prime, ricerca e sviluppo in materiali per packaging sostenibili.

Guardiamo questo momento d’oro della birra dal lato positivo. Per la qualità l’asticella si è alzata tantissimo…

Come birrificio non vantiamo una tradizione birraia, ne ereditiamo una e cerchiamo di utilizzarla per il nostro scopo. Siamo nel mondo della birra per un motivo molto preciso, la lotta allo spreco alimentare e quindi non seguiamo questa tendenza per la produzione di birre super premium. Detto ciò, secondo me la birra merita questo momento di gloria. Se in molti paesi non c’è una tradizione per una birra di livello ma è vista solo come bevanda da pasto o da aperitivi, certe culture hanno invece una tradizione birraia che la eleva a bevanda molto più complessa, complicata e carica del vino. Non mi stupisco quando ti fanno pagare certe birre d’abbazia, di Bruges, come un barolo. Dietro c’è un lavoro enorme per raggiungere quei livelli di qualità, ma non è la nostra filosofia. Per noi la birra fa parte di un sistema per il riciclo di un’altra materia, il pane, quindi più è popolare, meglio è.

Quindi l’idea di Biova parte dall’esigenza di riciclare il pane e non dall’intenzione di produrre una birra in particolare.

Sì, il progetto Biova nasce dall’idea di costruire un sistema logistico capace di abbattere gli sprechi alimentari. L’idea ci è venuta facendo i volontari in associazioni che si occupano di ritiri di eccedenze alimentari. Ci siamo accorti che il pane ha una problematica maggiore rispetto a tutti gli altri alimenti: ce n’è tantissimo e non si può dare in beneficenza. Quindi siamo partiti da lì, da un’eccedenza enorme, irrecuperabile e inabbattibile e da un prodotto che si sposa benissimo con questa materia, la birra, che da sempre, escludendo le leggi di purezza tedesche, è fatta con un mix di cereali di recupero. La birra è probabilmente la prima bevanda alcolica prodotta dall’uomo e sarà nata dalla fermentazione di grano magari lasciato in un’anfora. La connessione tra pane e birra è quindi un concetto antico e reale. Nella testa della gente funziona molto bene perché è da millenni che pane e birra vanno a braccetto.

In Russia ho bevuto il Kvass, un succo frizzante fatto con pane di segale fermentato…

Sì, lo conosco, non è birra ma, come hai visto, non è così strano fare una bevanda alcolica partendo dal pane. Noi lo facciamo in maniera pop, con un prodotto popolare e trasversale. Abbiamo selezionato mastri birrai molto, molto bravi, che sapevamo si sarebbero esaltati per il nostro progetto chiedendogli di arricchire la loro ricetta regina nella chiave alla base della filosofia di Biova, utilizzando il pane. Questa sfida li ha stuzzicati e sono nate tre referenze che sono andate a costituire la gamma trasversale di Biova e sono pure eccellenti! Le loro ricette sono state arricchite in qualche modo dalla presenza del pane, scegliendo generi che andavano in quella direzione, come la Kölsch che, tra le sue caratteristiche, ha proprio l’odore di crosta di pane, il sapore di lievito.

Un reverse engineering partendo dalla materia prima disponibile e non da un’ispirazione ideale, come il Moscow Mule…

Sì, però non così casuale. Una cosa che abbiamo scoperto producendo la Biova è che i prodotti derivati dalla fermentazione, i sottoprodotti, sono molto interessanti. Le trebbie del malto d’orzo, che solitamente si buttano via, sono molto nutrienti, le reimpieghiamo nell’impasto producendo uno snack, una specie di cracker a triangolino aromatizzato, che abbiamo chiamato Ri-Snack. La birra crea connessioni molto interessanti. Le ciotoline di questi snack saranno fatte di bioplastiche ricavate anch’esse dalle trebbie.

A scanso di equivoci, il pane che impiegate per produrre Biova è pane invenduto, non inutilizzato.

Esattamente, anche se poi, con la bollitura, qualunque carica batterica sarebbe annientata. Un altro aspetto positivo della scelta della birra, che poi un tempo veniva bevuta da tutti, bambini compresi, perché era più igienica dell’acqua di un tempo. Uno dei tanti motivi per cui hanno avuto così successo le IPA è dovuto dal fatto che alle truppe di stanza in India servivano birre più alcoliche così da non guastarsi durante il lungo viaggio dalla Gran Bretagna alle colonie. Il loro sapore fortemente luppolato e il fatto che fossero le uniche birre in zona, le ha rese subito popolarissime tra le forze armate britanniche.

Come vi approvvigionate di pane?

Prendiamo l’avanzo lì dove c’è: grandi distributori di pane, associazioni di categoria. Lavoriamo tanto con le associazioni dei panificatori, ad esempio quelle del Lago di Como e della città di Bergamo, stiamo iniziando anche con Varese, Milano e così via… e la GDO è uno dei posti principali dove cercare pane invenduto.

Un altro aspetto interessante del vostro progetto è la produzione multilocale di Biova…

Siamo partiti dal Piemonte, seguito subito dalla Lombardia, nella zona di Como, con Canediguerra siamo anche in Liguria anche se in realtà sono ad Alessandria, comunque dietro Genova. La delocalizzazione nasce con lo scopo di non far viaggiare lo scarto a lungo, altrimenti sarebbe un controsenso del sistema logistico. Lo abbiamo fatto anche in Campania con Karma, un birrificio di Caserta.

Che parametri avete per valutare questo aspetto del progetto Biova?

Non credo molto alle compensazioni, quanto piuttosto alle riduzioni delle emissioni. È per questo che insistiamo sulla birrificazione locale e trasporti mai oltre un tot di chilometri. Impieghiamo corrieri che a loro volta compensano le loro emissioni e per quanto riguarda i nostri imballi cerchiamo sempre di essere i più ecologici possibile: solo cartone riciclato, no pluriball o plastica. Caldeggiamo il riciclo delle nostre scatole. Insomma, facciamo la nostra parte per non creare altri rifiuti, soprattutto se non smaltibili. A tutto ciò si aggiungono studi per rendere sostenibili il più possibile anche le confezioni vere e proprie. Ad esempio le etichette sono molto difficili perché l’adesivo con cui sono fissate alla bottiglia complica non poco il riciclo.

Raccontaci la più grande soddisfazione che ti ha regalato fino ad oggi Biova.

Te ne racconto una in particolare. Sono originario di Alassio, e lì andavo a bere sempre in un locale che si chiama Spotti. Un giorno, senza che ce l’avessi portata io, ho visto che avevano Biova e mi sono detto “Cavoli, hai visto? Ci siamo incontrati.” (Ride) Vedere che il prodotto andava in giro anche senza di noi, è stata una delle prime soddisfazioni.

Un po’ come quando un musicista sente per la prima volta una sua canzone alla radio…

Sì, come dice Ligabue “… la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei”. Non so perché cito Ligabue, non mi piace neppure (ride) però qui dice una cosa vera, e per me è stata una grande emozione.

Mettiamo da parte Ligabue allora e raccontaci a che musica associ la birra.

Io sono un metallaro dentro, ascolto gli Iron Maiden, i Metallica. Guarda, due giorni fa ero in un ristorante inglese e a menù avevano la Trooper, la Ale prodotta dai Maiden. Inutile dire che me la sono presa immediatamente. A me il rock fa venire voglia di bere birra, non ci posso fare niente.