Spirit Dog: Maurizio Stocchetto

Se c’è un bar dove bere un cocktail a proprio agio, senza distrazioni o inutili affettazioni, quel bar è il Bar Basso di Milano, regno di Maurizio Stocchetto e del Negroni Sbagliato. Cresciuto dietro il bancone di via Plinio, Maurizio incarna l’essenza di un bar che ancora oggi è il punto di riferimento di una clientela da sempre eterogenea e che in novant’anni ha sempre rispecchiato lo zeitgeist di una Milano in costante mutazione.

“Giuseppe Basso aprì il Bar nel 1933 per poi chiuderlo durante la guerra e riaprirlo nel ‘47 nella sede attuale. Era un bar normale e, anche se a Milano non c’era una grande cultura sui cocktail, aveva intuito che potevano essere un articolo molto interessante. Mio padre Mirko, dopo vent’anni al bar dell’Hotel de la Poste di Cortina d’Ampezzo, lo rilevò nel ‘67 portando in quel piccolo angolo della circonvallazione, non proprio la zona più alla moda, l’esperienza e l’atmosfera del bar di un grande albergo. La rivoluzione era nell’aria e iniziò a proporre cocktail alla portata di tutti. All’epoca si bevevano solo nei grandi alberghi, e gli operai di sicuro non avevano alcuna intenzione di andare al Principe di Savoia per berne uno. La controcultura del ’68 rivoluzionò tutto e il Bar Basso fu il posto giusto al momento giusto. Venivano persone di destra, di sinistra, musicisti, scrittori, banditi, un misto di gente molto interessante che ha caratterizzato il posto. E i cocktail erano fatti bene.”

E quindi com’è possibile che sia potuto nascere lo Sbagliato?

“Il Negroni Sbagliato infatti non nasce dall’errore di un barman – inammissibile, all’epoca sarebbe stato licenziato in tronco – ma per un’esigenza sociale. Quando fai un Negroni, il Bitter Campari e il vermouth rosso li prendi dalla bottigliera, senza neppure guardare. Poi allunghi la mano a destra dove trovi gin e spumante. A mio padre piaceva raccontare di aver preso lo spumante invece del gin, ma non andò così. A fine anni ‘60 le donne iniziavano ad essere finanziariamente indipendenti e molte a Milano cominciarono a lavorare nell’editoria, nella moda, e a frequentare il bar. Mio padre, per venire incontro alla clientela femminile, cominciò a preparare sparkling come il Bellini e lo Spritz, più leggeri di un Manhattan o un Martini, con lo spumante al posto del distillato. Tra queste varianti è nato lo Sbagliato, molto piacevole per chi ama il Campari e il suo punto di sapore. Non lo abbiamo mai spinto troppo, ha fatto vita da solo, diffondendosi a partire dagli anni ’70 tra gli habitué del bar con un passaparola continuo.”

Ma come può un bar mantenere in maniera immutata la propria identità intercettando un pubblico diverso, ma sempre quello giusto, a seconda delle epoche?

“È l’ambiente. Mi ha sempre affascinato l’idea della convivialità, di come la gente interagisce, le comunità che riesci a creare e le presone che riesci a conoscere. Oggi a Milano non ci sono più gli operai delle fabbriche, molte cose che c’erano negli anni ’70 sono sparite, ma noi siamo riusciti a cavarcela iniziando a lavorare con il mondo della comunicazione, della moda e del design, il pubblico più interessante che la città possa offrire in questo momento. Negli anni ’80 ho vissuto per due anni in California e al mio ritorno Milano era molto cambiata. C’era la moda, vedevi un sacco di belle ragazze che cercavano lavoro come modelle e ragazzi come assistenti fotografi. La scena era molto internazionale e oltre ai designer della moda c’erano quelli industriali, con i quali legai tantissimo. Iniziarono a dare feste durante il Salone del Mobile, noi ci occupavamo del bar.  Un paio di loro sono poi diventati superstar, parlo di Jony Ive e Mark Newson. Ognuno ha fatto la sua carriera ma siamo rimasti amici, senza mai dover cambiare. Come il Bar Basso, una specie di piccolo miracolo a Milano.”