Le Bartender’s Club: Alessia Bellafante

Le Bartender’s Club: Alessia Bellafante

Abbiamo già conosciuto Alessia Bellafante in occasione del progetto Le Bartender realizzato a Novembre 2022 in collaborazione con Perimetro e Campari Academy.  Alessia spicca con il suo caschetto rosa tra le luci al neon di Unseen, il bar future funk in zona Lambrate a Milano, dove tutti elementi che si rifanno al movimento e alla cultura vaporwave.
Qui, a quattro mani con il founder Milo Occhipinti, collabora alla creazione della drink list che cambia ogni tre mesi, con la curiosità di continuare a scoprire nuove tecniche e prodotti.
E se ad un occhio esterno e old fashioned l’estetica di una bartender conta più della sua bravura, in questa intervista mettiamo i puntini sulle i per raccontare di inclusività, di stress sui luoghi di lavoro, cliché e progetti laterali.

Quale filosofia hai impiegato per la realizzazione della drink list di Unseen?

“È una drink list eterogenea, contemporanea ma che guarda già oltre. Lo stile di miscelazione si rifà alla fine degli anni ‘90 e inizio dei Duemila e il nostro impegno è rivolto a renderla più pop. L’estetica dei nostri drink gioca un ruolo fondamentale, è ciò che li rende identificativi e riconoscibili tra altri. Molti degli ingredienti che utilizziamo sono di provenienza asiatica ma il core della nostra miscelazione è stupire con sapori decisamente insoliti da trovare in forma liquida come il nostro Cookies & Cream, una vera e propria crema pasticciera al limone ma in versione highball.”

Cosa dovrebbe ordinare un cliente che viene da Unseen per la prima volta?

“Non c’è un drink in particolare perché sono tutti signature drink studiati per fare sì che l’esperienza sia elevata al massimo.”

Ma partiamo dall’inizio. Quando e come ti sei avvicinata al mondo della mixology?

“Ho iniziato circa sei anni fa, non saprei dirti la ragione specifica. Forse ero molto dubbiosa del mio futuro. Avevo il sogno di essere architetto ma non avevo stimoli che mi spingessero a proseguire gli studi.
Ho seguito un corso di bartending per impegnare il tempo e ho percepito da subito che era un ambiente super stimolante. E il fatto che io potessi sperimentare con poche bottiglie mi ha fatto approfondire questa mia passione nascente. Ho iniziato facendo degli extra, come bar back nel quartiere di Porta Venezia a Milano – che è il gay district della città – mi piace sottolinearlo perché ha aperto la mia mente e la visione del mondo e del mondo del lavoro. Lavorare in un ambiente così variopinto in tutte le sue forme mi ha permesso di capire quali sarebbero stati i miei capisaldi nel mio modo di lavorare.”

Insomma, Porta Venezia ti ha aperto la strada. E quando hai capito che quella della bartender sarebbe stata la sua professione?

“Ho vissuto la mia adolescenza af fascinata da tutto ciò che mi intimoriva tra cui le connessioni con le persone.
L’hospitality mi ha reso più sicura di me stessa accompagnandomi in un percorso alla scoperta personale. L’empatia e la creatività che il nostro lavoro richiede sono sicuramente i capisaldi del motivo per cui mi sono lasciata incantare da questo mondo.”

Ci sono delle difficoltà che hai riscontrato in questa professione?

“Ogni luogo vive la propria realtà. Le mie difficoltà sono state dettate prima di tutto dalla mia giovane età rapportata alle mie capacità e conoscenze poiché, il mix delle due, in un ambiente in cui il nonnismo è ben radicato, va un po’ in conflitto. Ulteriore gap che ho riscontrato è proprio essere una donna: le responsabilità ti vengono limitate e con queste la possibilità di consolidare la propria carriera con le stesse tempistiche con le
quali può riuscirci un uomo.”

Trovi che ci sia davvero un’evoluzione nel mondo del bartending, soprattutto per le donne? Hai mai sentito delle discriminazioni?

“Il mondo del bartending si sta rinnovando molto dando il giusto spazio anche alle nuove leve. Il mondo del lavoro in generale sembra essere più consapevole rispetto a qualche anno fa, ciò si percepisce dall’interesse dei manager stessi a investire sui più giovani del proprio team. Una discriminazione che ho subito in quanto donna è stata relativa ad uno dei tanti preconcetti che appartiene alla sfera femminile: troppo docile per essere un leader.
L’altra difficoltà, più contemporanea con cui sto facendo fatica a convivere, è essere presa poco sul serio in quanto bartender poiché molte volte il messaggio che passa è che avere una bella presenza non equivale ad​ essere capace. Purtroppo siamo tuttora ancorati al concetto di bella e brava. E non è mai al contrario: brava e bella. La vanità non c’entra con il mio lavoro.”

Di recente mi ha colpito un tuo post su Instagram riguardo all’esperienza di burnout. Cosa ti ha insegnato e come ne sei uscita?

“Ho vissuto il burnout in seguito ad un periodo lavorativo estremamente stressante. Mi sentivo poco gratificata e questo mi faceva pretendere moltissimo da me stessa. Ho af frontato crisi isteriche, avevo uno sguardo negativo su tutto, non ero soddisfatta di nulla e mi sentivo demoralizzata. Ho avuto un brutto incidente in auto che mi ha fatto capire che era il momento di dedicare del tempo a me stessa. Quando fai della tua passione un lavoro è difficile scindere quest’ultimo dalla propria vita privata. In seguito all’incidente mi sono imposta di mettere al primo posto me stessa e la mia salute, sia mentale che fisica, riscoprendo le passioni che con il tempo avevo messo da parte per dare spazio al bar. Il consiglio che io posso dare è di ascoltare il proprio corpo e la propria mente, cogliere i segnali ancora prima che il burnout prenda il sopravvento e di cercare un aiuto professionale.”

Oltre al tuo lavoro ho visto che ti dedichi anche ad un altro progetto. Mi parli di Ellas?

“Ellas è un collettivo che spazia in maniera consistente in tutta Europa e che ha come obiettivo finale di sensibilizzare su tematiche contemporanee come l’inclusione e la diversità nel mondo della ristorazione. Il gruppo è molto attivo sui social ed è un luogo virtuale  di scambio di idee. Organizziamo anche eventi dal vivo – il prossimo sarà a Milano da Tripstillery il 9 Marzo – che uniscono una prima parte di masterclass/talk in cui si discute di inclusione e diversità e la seconda parte con guestshift di gruppo. I nostri talk sono generalmente arricchiti dalla presenza di diverse organizzazioni come per esempio Donne Per Strada , una onlus che supporta tutte le persone che si sentono in dif ficoltà a camminare da sole per strada.”

Per chiudere con un drink, ce n’è uno che ti rappresenta più di tutti gli altri?

“Sicuramente il Paloma, che è stato anche oggetto di una piccola gag sui social, perché è rosa [come i capelli di Alessia N.d.R.]. È molto fresco e frizzantino, ben equilibrato e senza pretese. È un drink beverino che a me piace moltissimo.”

I tuoi consigli su come farlo a casa?

“Semplice: sono 45 ml di tequila blanco, 10 ml di sciroppo di Agave, 20 ml di succo di lime, servito in highball con tanto ghiaccio, da colmare con soda al pompelmo rosa.”