Il primo maggio per chi prepara da bere

In Italia ci sono oltre trecentomila punti di consumo: bar, ristoranti, gelaterie pasticcerie e discoteche. Il settore impiega milioni di persone e costituisce una porzione importante del tessuto lavorativo nazionale.

Qua sotto ci sono tre piccole storie “da bar”; forse niente di nuovo, forse qualcosa che vale la pena di leggere. Pensieri in ordine sparso. Abbiamo chiesto a qualche lavoratore e lavoratrice dei bar di condividere qualcosa con noi per questo Primo Maggio.

Irene/27 anni/Milano

“Ho iniziato a lavorare come barista per fare qualche soldo durante i weekend, sono rimasta nello stesso locale per qualche anno e gradualmente mi hanno aumentato le ore fino a prendere accordi per un lavoro full-time.

Facevamo da bere per gli universitari: mille cocktail in plastica, musica alta, file al bancone e chiusura tardi.

C’era una rotazione continua del personale, nessuno si fermava per più di un anno e con il tempo sono diventata la persona con più anzianità di servizio. Il titolare faceva un altro lavoro e al bar non c’era mai.

Avevo sempre più responsabilità, senza accorgermi ero diventata quella che teneva i contatti con i fornitori, quella che apriva e chiudeva, quella che faceva la formazione ai nuovi arrivati. Lavoravo da bar manager e venivo pagata come barista, è andata avanti così per quasi due anni. Poi me ne sono andata.”

Federico/32 anni/Ancona

“Sono quasi dieci anni che faccio questo lavoro, e da quando ho iniziato, tutti gli anni, lavoro il primo maggio. Mi fa rodere il culo ogni volta. Siamo una categoria di lavoratori che non ha diritto alla Festa dei Lavoratori; non dovrei prestare manodopera in questo giorno, dovrei festeggiare.

È un settore in cui mancano troppe cose. A volerla fare breve, nella maggioranza dei casi mancano: serietà dei gestori, stipendi adeguati e riposo. Un giorno di riposo, ammesso che ci sia, non basta. Lavoro in località che vivono di turismo stagionale e mi è capitato più volte di lavorare per mesi senza nessuna giornata di stop. Questi discorsi valgono per tutta l’hospitality: bar, ristoranti, alberghi, gelaterie… tutta.

Si deve comprendere che lavoriamo in una realtà di servizio ma non siamo servitù. Siamo dietro un bancone perché ci lavoriamo e il Primo Maggio non dovremmo lavorare.”

Alessandra/33 anni/Ceglie Messapica (BR)

“Oggi faccio altro ma ho lavorato come cameriera e barista per anni. Non sono le contraddizioni plateali di questi lavori a essermi rimaste in testa, ma le cose silenziose che non venivano problematizzate in alcun modo.

La mia prima esperienza è stata nel bar di un hotel a cinque stelle. Avevo appena finito le superiori e i titolari sapevano che non avevo alcuna confidenza con questo lavoro. Non ho ricevuto nessun tipo di formazione e mi hanno messo il giorno stesso a preparare spritz che venivano venduti a 15 euro. Nessuno ha sentito l’esigenza di spiegarmi come svolgere bene il mio lavoro, come se non ne valesse la pena.

Poi ho continuato per anni a fare degli extra in bar qua e là durante i fine settimana. Era strano, venivo sempre pagata a ore, magari lavoravo dieci volte l’anno e prendevo molto di più di quelli che stavano lì fissi a farsi il mazzo. Non mi faceva stare bene.”

Basta chiedere a qualsiasi bartender: racconti del genere si sprecano, fanno parte dell’esperienza di tutte le persone che lavorano in questo settore.

Oggi in Italia i vertici di governo continuano a ripetere che il settore Ho.Re.Ca. sia uno dei fiori all’occhiello del paese ma le condizioni di lavoro in questo settore, negli ultimi vent’anni, non hanno fatto altro che abbassarsi.

I lavoratori e le lavoratrici chiedono più soldi, più tempo e più tutele. Buon Primo Maggio.