É sempre colpa di un Negroni

DAL BOSCHETTO ALL’AMAZZONIA

A chi non piace ascoltare una bella storia? Non tutti però ne possono raccontare una tanto bella e appassionante come quella che Arturo Isola, quindici anni fa, ha deciso di scrivere per Amazzoni Gin, una delle storie più sorprendenti nel mondo dei distillati per successo, passione e unicità. Genovese emigrato a Rio de Janeiro, incontriamo Arturo in un palcoscenico tanto singolare quanto coerente con il sapore di Amazzoni, in una foresta pluviale ricreata appositamente nella periferia di Milano per rievocare, anche a livello sensoriale, l’atmosfera più appropriata per ascoltare il suo racconto. Ci sediamo a parlare con un uomo che ha molto chiaro tanto il valore della narrativa quanto quello del sapore dei ricordi, che siano i suoi o quelli di chiunque abbia il piacere di condividere un cocktail preparato con Amazzoni Gin.

Ciao Arturo, cosa bevi?
Un Negroni, con Amazzoni e, se possibile, vermouth e bitter locali. La ricerca dell’artigianalità per me è una scelta di vita, un rifugio dalla globalizzazione, un modo per continuare a conoscere il mondo, sentire storie e non consumare semplicemente un prodotto.

Nel 1992, proprio a Rio, si è tenuto il Summit della Terra sulla biodiversità, aprendo un percorso che trent’anni dopo vede finalmente l’affermazione del local, soprattutto nei consumi di qualità, come cultura.
Negli anni ’80 e ’90 tutto il fenomeno pop girava intorno alla globalizzazione e accorciare le distanze era figo. Oggi non è più sostenibile, non si può essere ovunque, in ogni momento, ad ogni costo. È vero che posso arrivare dall’altra parte del mondo in un secondo ma voglio viverlo davvero, ritagliarmi un po’ di tempo, per me è fondamentale.

Come sei arrivato in Brasile?
Era la vigilia di Natale del 2007, tornando a Milano dopo un Genoa-Parma mi è squillato il telefono. Era Andrea, un mio carissimo amico, mi chiedeva che programmi avessi per Capodanno. Andava in Brasile a vedere i fuochi e il figlio appena nato di un nostro amico trasferitosi da poco a Rio. Facevo l’architetto, ero single e non mi ero organizzato. Due giorni dopo ero a Ipanema a chiacchierare con quella che sarebbe poi diventata la mia prima moglie. Per tre anni ci siamo rimpallati la decisione di chi avrebbe raggiunto l’altro, poi ho avuto una folgorazione guardando una copertina di The Economist dedicata al boom del Brasile. Stava letteralmente decollando: Gilberto Gil ministro della cultura, Olimpiadi e Coppa del Mondo assegnate, l’inizio di un decennio trionfale. Nel 2009 mi sono trasferito definitivamente a Rio, un salto nel buio, prendendomi un anno sabbatico, che poi anno non è mai stato, per imparare la lingua, conoscere la città e ambientarmi. Dopo poco mi sono rimesso a lavorare, il Brasile spingeva di brutto, era diventato un posto sicuro dove investire, anche per gli stranieri… la tempesta perfetta! Mi sono associato ad un designer brasiliano facendogli da agente con due marchi italiani come Poltrona Frau e Cappellini. Da quella collaborazione è nata un’esposizione itinerante in Europa del design brasiliano moderno e contemporaneo. Per selezionare i pezzi abbiamo girato il paese per un anno, visitando gli atelier di tutti gli artisti, un deep dive culturale intensissimo.

Come nasce l’idea di Amazzoni?
Colpa del Negroni, la grande necessità. L’idea nasce con Alexandre Mazza, musicista e artista brasiliano, amico di bevute e mangiate. In Brasile non è facile trovare vino, liquori o certi ingredienti di qualità, dovevamo procurarceli da fuori. A noi piaceva il Negroni, così nel 2015 abbiamo fondato la confraternita degli Os Ginasticos, i ginnasti in portoghese, invitando una volta al mese vari amici a cui piaceva bere bene. Ognuno metteva 100 Reais in una cassa comune e quando a qualcuno capitava di uscire dal paese, si prendeva il malloppo per comprare bottiglie buone e poi farci assieme dei drink fatti bene. Un giorno uno di noi è tornato con un gin argentino. I brasiliani si indignarono: “Ma come? L’Argentina ha un suo gin e il Brasile no? Gliela faremo vedere!” Fu così che nacque l’idea di creare un gin brasiliano. Fin dall’inizio non è mai stato un progetto imprenditoriale, non sarebbe successo quel che è successo, a partire dalla qualità a cui siamo arrivati che puoi raggiungere solo senza vincoli di tempo o interferenze esterne, soprattutto se lo stai facendo per te stesso. Con investitori o un business plan ci saremmo fermati prima o saremmo dovuti scendere a qualche compromesso, invece avendo lavori gratificanti l’unica cosa che ci interessava era il nostro Negroni, un piacere che ci fece fare un passo decisivo per la creazione di un gin brasiliano. Comprammo un alambicco elettrico da 5 litri su Amazon – 150 dollari, me lo ricordo ancora – che installammo nella mia cucina. Per due anni ci passarono serate non solo gli Os Ginasticos, ma anche altri amici curiosi di fare test, sperimentazioni e bere cose fatte lì. Una figata!

Come siete arrivati alla ricetta di Amazzoni?
Ero a Courmayeur, davanti ad una cioccolata calda, e raccontai del nostro gin casalingo ad un amico che lavora negli spirit in America Latina. L’idea gli piacque e promise di mandarmi un suo collega a darmi qualche consiglio. Me ne dimenticai fino a quando il suo collega non arrivò per davvero. Mi disse “Bellissima idea, il risultato invece…” e mi consigliò di rivolgermi a Tato Giovannoni, il mixologist del gin argentino che aveva scatenato tutta questa storia mesi prima. Le stelle si stavano allineando così approfittai di un weekend a Buenos Aires per andarlo a trovare e raccontargli cosa stessimo facendo. Gli chiesi se poteva interessargli aiutarci e rispose di si. Si stava trasferendo proprio a Rio con la moglie brasiliana. Io poi feci un viaggio in Amazzonia per incontrare gli indios Guaranì. Mi iniziarono ai rituali e alle regole della foresta, alla loro cultura, saggezza popolare pura. Tornai a Rio con l’idea che il nostro gin dovesse rappresentare le sei biodiversità del territorio brasiliano, con un’attenzione particolare all’Amazzonia, la più fragile. Occupa il 60% del Brasile e sarebbe quasi più giusto dire che il Brasile appartiene all’Amazzonia che il contrario. Ho un debito col Brasile e per ripagarlo uso il tempo che il pubblico di Amazzoni vorrà dedicargli per la difesa della foresta amazzonica, creando consapevolezza sui suoi problemi e i pericoli che la minacciano.
Con estrema calma ci mettemmo a sviluppare la ricetta utilizzando cinque ingredienti del vecchio mondo e cinque del nuovo. L’ultimo tocco è stato l’undicesimo, il seme della Victoria Regia, la ninfea dell’Amazzonia. Il fiore nasce sott’acqua e il seme cade sul fondo per farne germogliare un’altra. Avevo visitato una tribù che li raccoglieva per venderli e così, per aiutarli, abbiamo deciso di mettere cinque semi in ogni batch da 500 litri di distillazione. Non influisce in alcun modo sul gusto, ma venendo dall’acqua dell’Amazzonia la sua presenza ha un valore spirituale.

Quando avete capito che tra le mani avevate qualcosa che non poteva più rimanere solo tra Os Ginasticos?
Nel 2016 avevamo una ricetta che piaceva a tutti. L’ultima prova era fare la ricetta in un alambicco professionale di grande volume, così da produrre 500 bottiglie per la confraternita e gli amici e poter dire: “Ce l’abbiamo fatta!” A due ore da Rio, nella valle del caffè, trovammo La Cachoeira, una fazenda fondata nel 1717, la più vecchia del Brasile. Ci dissero che non potevano aiutarci, non distillavano più da anni e non avevano la minima competenza sul gin, ma erano disposti a darci uno spazio dove creare la nostra distilleria di Gin. Salimmo al piano di sopra e trovammo una stanza senza tetto, piena di piccioni, totalmente abbandonata, ma con bellissime finestre coloniali affacciate su palme e un lago, oggi è la sala dei nostri alambicchi. Tornando a Rio dissi a Tato e Alexandre: “Ragazzi, non era nei piani ma potremmo essere i primi in Brasile ad aprire una distilleria di gin e produrvelo, un’opportunità che non possiamo perdere.”
Nel 2017, arrivato il primo alambicco, iniziammo la produzione.

Parlami della vostra bottiglia.
È prodotta con vetro riciclato, l’ho disegnata io. Sul retro c’è il nostro motto E das Aguas Nasceu a Estrela, dall’acqua è nata una stella, la leggenda di Naià, la nostra musa. Una giovane india aveva sentito dire che se fosse riuscita ad abbracciare la luna sarebbe diventata una stella. Diventò un’ossessione. Una sera, seduta sulla riva di un lago, vide la luna riflessa nell’acqua e si tuffò per abbracciarla. Non sapendo nuotare affogò. La luna, anche lei donna, la raccolse dal fondo del lago e la tramutò in stella. Per noi è la sintesi di come, per quanto improbabile sia il tuo sogno, se lo persegui con passione alla fine puoi farcela.

Il vostro staff è esclusivamente femminile.
Dopo aver trovato questo luogo bellissimo e magico, mi sembrava giusto restituire qualcosa al territorio. Ci siamo rivolti al comune spiegando che avremmo lanciato un’attività e offerto un corso di formazione per sole donne del luogo. In cinque anni siamo arrivati ad uno staff di diciotto ragazze, altamente specializzate, tutte amiche, c’è un’energia positiva di cui imprese come la nostra hanno bisogno.

Avete vinto il Best World Craft Producer of the Year ai World Gin Awards del 2018.
Eravamo tra i finalisti, a Londra, l’Olimpo del gin. Su 300 persone solo 10, tra cui Alexandre ed io, non erano inglesi. Sedevamo all’ultimo tavolo, quasi al buio. All’annuncio ci siamo alzati in piedi e ricordo chiaramente un silenzio irreale mentre ci avvicinavamo al palco. Sentivo solo bisbigliare frasi del tipo “Brasile? In Brasile fanno il Gin?”
Quel giorno, con il riconoscimento della comunità internazionale, non solo ad Amazzoni, ma anche al fatto che il Brasile fosse finalmente sulla mappa del Gin, ho realizzato di aver fatto qualcosa di straordinario per il Brasile.

Quanto coraggio c’è voluto per credere fino in fondo a questo progetto?
Per lasciare tutto quanto avevo costruito fino ad allora e buttarmi in un’avventura come quella di Amazzoni, questa doveva essere totalmente originale. In Brasile il Gin era una sfida. Se è vero che, senza la pressione di investitori o finanziamenti, potevamo fermarci quando volevamo, quello che abbiamo fatto non era gratis, l’abbiamo fatto coi nostri risparmi per arrivare al livello di eccellenza che desideravamo e poter lanciare Amazzoni. Per portarlo in giro per il Mondo doveva essere qualcosa di cui essere orgoglioso, dovevo essere consapevole di avere in mano il meglio.

Non è facile scindere Amazzoni da Arturo.
È una simbiosi profonda. Racconto la mia storia, del prodotto, del Brasile, e cerco l’attenzione del pubblico, oggi sempre più rara perché il tempo è poco. Credo fermamente che nel mercato di oggi una storia raccontata dal fondatore abbia un peso completamente diverso. È la storia di cui parlavamo all’inizio. Quando la storia è raccontata da chi la conosce, da chi l’ha vissuta passo dopo passo, è un differenziale fantastico, un lusso che ci dobbiamo concedere per sapere un po’ di più di cosa stiamo consumando, non trovi?