Camp X-Ray, lo speakeasy più esclusivo al mondo?

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Chi non ha mai sognato di sgattaiolare nel backstage di un concerto per incontrare il proprio idolo con cui scambiare due chiacchiere e, magari, qualcosa di più?

Ma come fare?

Pamela Des Barres, la più groupie di tutte le groupie, con molta faccia tosta ed estrema nonchalance, alla richiesta del pass, dichiarava: “I’m with the band”, un mantra che, per anni, le ha garantito l’ingresso nei più inarrivabili backstage d’America. Se però è vostra intenzione non andare oltre una foto, un autografo e una stretta di mano, il modo migliore è conoscere qualcuno che conosca qualcuno nell’entourage del vostro artista preferito, qualcuno come come Mr. Dee Still ad esempio.

Che ne direste di un giro a Camp X-Ray, il più esclusivo dei backstage della storia del rock n’ roll, quello speakeasy segretissimo che è il camerino di Keith Richards dei Rolling Stones?

Trovarlo non è difficile. Una volta entrati nel sancta sanctorum degli Stones vi basterà lasciarvi guidare dalle note di classici del primo rock n’ roll come Jerry Lee Lewis e Little Richard o ancora le melodie di qualche musicista giamaicano sconosciuto e in men che non si dica vi troverete di fronte alla porta che vi separa da una vera e propria leggenda. Delimitato da pesanti tende di velluto nero, Camp X-Ray nel corso degli anni è stato teatro di jam incredibili come pure di azioni di vera e propria dissolutezza a base di rock n’ roll.

Richards ha sempre avuto l’abitudine di arredare il suo camerino, come pure le sue stanze d’albergo, in modo da sentirsi sempre a casa, non importa in quale città del mondo si trovasse: sciarpe indiane sulle lampade e candele per fare atmosfera, qualche coltello qua e la per dare un tono più piratesco all’ambiente, una marea di chitarre sparse un po’ dappertutto, uno stereo intento a sparare musica a tutto volume, un divano di pelle, un tavolino convertito in una specie di piccolo altare laico al rock n’ roll sul quale si distingue il bastone voodoo che Keith, prima di ogni show, ritualmente agita sul palco per scongiurare la pioggia. A completare questo angolo segreto del backstage dei Rolling Stones troviamo, appese ai pesanti tendaggi, foto dei suoi idoli musicali – un tempo Elvis e Bo Diddley, oggi Jerry Lee Lewis.

Ma non sono solo le foto ad essere cambiate a Camp X-Ray, sono cambiate anche le bottiglie. Se alla fine anni ’60 non era difficile trovarvi una bottiglia di Old Grand Dad, per tutti gli anni ’70 fu il Jack Daniel’s a farla da padrone fino a quando, iniziati gli anni ’80, Keith Richards non si innamorò di un bourbon che in quanto a ribellione non era secondo al suo celebre estimatore. Si diceva infatti che il Rebel Yell non fosse in vendita al di sopra della leggendaria line Mason-Dixie, la ferrovia che ai tempi della guerra di secessione divideva il Sud dal Nord.

Per tutto il tour americano del 1981 a supporto di Tattoo You, l’album che proprio in questi giorni per i suoi 40 anni ritroviamo nei negozi in una riedizione enciclopedica, la libagione ufficiale di Camp X-Ray fu proprio il Rebel Yell, un Kentucky Straight bourbon whiskey dal quale Richards non si separava mai, tanto da farsi riprendere ripetutamente nel film ufficiale del tour con una bottiglia in mano ed ispirare Billy Idol per il titolo della sua hit del 1983.

Richards, per motivi di salute, negli ultimi anni ha dovuto abbandonare il whiskey, non importa se liscio o con Coca o ancora ginger ale, a favore dello screwdriver, piu salutare grazie al succo d’arancia, fino a quando, nel 2006, non ebbe il famoso incidente della palma. Da allora le uniche trasgressioni ancora in corso a Camp X-Ray sono qualche sigaretta fumata di nascosto e, in barba al colesterolo e la glicemia, una Shepherd’s Pie appena sfornata, da sempre protagonista dell’unica regola che nessuno può violare, se non Keith in persona: la crosta infatti la può rompere soltanto lui.

“Don’t ya worry, get dressed, cried my mother

As she plied me with bourbon so sour”

Dear Doctor, Beggars Banquet”

1968 The Rolling Stones